Domani sera alle ore 19 la Virtus Bologna affronterà in casa Verona. Per la prima volta dal 2017, Alessandro Ramagli e Guido Rosselli torneranno a Bologna da avversari. Sarà un appuntamento imperdibile per tutti i tifosi bianconeri, un’occasione per salutare due dei protagonisti della storica promozione di sei anni fa. In basso, un piccolo pensiero sulla Virtus che fu.
Quella squadra non doveva vincere. I giocatori non erano stati scelti puntando in alto, la società era ancora in balia di una retrocessione appena arrivata. Sul campo, stavolta. Bologna, piazza strategica per il basket italiano, era ancor di più divisa in due, con i tifosi della Fortitudo che schernivano i cugini per la loro prima retrocessione. Guardando avanti, solamente una A2 che rischiava di trascinarsi per anni ed anni, così come era accaduto per i biancoblu. Alle spalle di questa retrocessione i tifosi ricordano tuttora un periodo mediocre, segnato da poche certezze e pessime scelte della società, dentro e fuori dal campo.
Queste stagioni all’insegna della mediocrità raggiunsero il loro apice nel 2015/2016, quando un gruppo per il quale parlava un “body language” disastroso finì ultimo in graduatoria. Clamoroso fu un episodio in una delle ultime partite decisive per la salvezza: in uscita da un time-out la squadra andò in campo con quattro giocatori a 20 secondi dalla fine, senza che nessuno se ne accorgesse. Sicuramente in quella stagione contarono anche gli infortuni, su tutti quello di Allan Ray (capitano e leader tecnico) rimasto fuori praticamente per tutto il campionato. Come riuscì una Virtus così demoralizzata nell’impresa di centrare la promozione al primo anno di A2? Come fu riconquistato un pubblico disilluso e poco interessato? Ci sarà stata un po’ di fortuna, ma di certo non solo quella.
Spissu, Umeh, Rosselli, Ndoja, Lawson, Spizzichini, Pajola, Oxilia, Penna, Michelori, Bruttini, Gentile, allenatore Ramagli. Alcuni di questi nomi ora li vediamo protagonisti in Serie A, sarebbe strano il contrario. Partita dopo partita i bianconeri iniziarono a salire di colpi, mostrando una chimica non indifferente tra i singoli e vincendo in modo rocambolesco il derby della befana con la Fortitudo. L’impianto casalingo era ormai da anni l’Unipol Arena a Casalecchio di Reno, arena spropositata da quasi 10000 posti. Nonostante la squadra giocasse e vincesse spesso e volentieri, ad ogni partita sugli spalti non si contavano più di 4000 tifosi. L’interesse della città per la Virtus raggiunse forse il punto più basso in quasi 100 anni di storia.
Se attorno ai giocatori la fiducia rasentava lo zero negativo, inaspettatamente il gruppo iniziò giorno dopo giorno ad essere sempre più affiatato. Il primo frutto del grande lavoro arrivò con la vittoria della Coppa Italia di A2. In quella competizione la squadra superò Triste prima e Biella poi, entrando di diritto nel gruppo delle favorite per la promozione. Purtroppo neanche il bel successo aumentò la fiducia nei tifosi e alla prima partita di playoff al Paladozza sugli spalti si presentarono solo 3000 persone. Una delusione vera e propria, i cugini della “effe” il Paladozza lo riempivano ogni domenica, anche con l’ultima in graduatoria. La seconda partita del primo turno venne persa nonostante il fattore campo e un avversario decisamente inferiore.
Mentre in città esplosero alcune ingenerose critiche nei confronti dei giocatori e dello staff tecnico, la squadra vinceva due partite contro la Casale Monferrato di Blizzard e approdava al secondo turno, dove ad aspettarla c’era Roseto. L’aggiunta di un giocatore esperto come Stefano Gentile, ora protagonista alla Dinamo Sassari, diede nuova linfa alle Vu Nere. La sconfitta in gara1 sollevò un polverone e si parlò a sproposito di esonero per coach Ramagli. Nel momento più complicato, quando la frattura tra squadra e tifoseria sembrava insanabile, le stelle si allinearono e i meccanismi iniziarono a girare a mille. La risposta arrivò pronta, dal campo, con tre vittorie di fila che significavano semifinale.
Il penultimo ostacolo fu Ravenna, squadra rivelazione che sembrava ancora in grado di dire la sua, ma il 3-0 arrivò netto e senza sconti. Per gara3 1700 bolognesi raggiunsero la Romagna, nello stesso momento Trieste poneva fine alle speranze di una Fortitudo mai doma. I playoff rilanciarono del tutto la Virtus sia a livello societario (acquisto della proprietà da parte di Zanetti, patron di Segafredo, nel corso dell’anno) ma soprattutto a livello sociale.
Il “Vecchio Stile”, uno dei gruppi più caldi del tifo bianconero, mise in commercio una semplice maglia nera con poche scritte e una grande V sul petto. La comprarono tutti, la maglietta girò ovunque, era possibile imbattercisi in ogni angolo del centro della città. La finale sembrava più incerta che mai, Trieste era una squadra molto competitiva guidata da due ottimi americani come Parks e Green e dal neoacquisto Daniele Cavaliero. La serie scappò inaspettatamente via veloce, con la Segafredo che vinse facilmente le prime due battaglie presentandosi nel capoluogo friulano ad una sola vittoria dalla promozione. A Trieste, dopo una partita di lotta mentale e fisica, le Vu Nere prevalsero conquistando sul campo la SerieA, rendendosi protagoniste di un’impresa storica.
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